Bianca Maria Selva Antonutti

Notizia sull’autrice

Bianca Maria Selva Antonutti è nata a Imola nel 1946 e vive in Friuli-Venezia Giulia dal 1969. Assistente sociale a Bologna, laureata in Pedagogia a Trieste, insegnante, si è rivelata in poesia come prima classificata al “Concorso di Poesia Grado ’78”, presidente della giuria Biagio Marin, vincendo poi il “Premio Letterario Friuli-Venezia Giulia” nel 1980 e il “Leone di Muggia” nel 1982. Attribuitole nel 2016 il “Premio Letterario Settembre Andiamo”, Antignano (Livorno), nel 2019 le è stato assegnato il “Premio speciale” della giuria, presso il “Concorso Letterario Internazionale L’Arte e le sue Muse” (Livorno-Pisa-Grosseto).
Ha pubblicato: il volume di poesia Se noi come vetro (con prefazione di Roberto Cicala, Il Piccolo Torchio, Novara 2000); il religioso Alcuni motivi per credere (con prefazione di monsignor Pier Giorgio Ragazzoni, Tipografia Villaggio del Fanciullo,Trieste 2006); il volume di prosa lirica Il giardino della memoria (con presentazione di Guido Petter, Il Piccolo Torchio, Novara 2010).
Con l’opera teorico-pratica volta, su basi strutturate, all’innovazione e all’aggiornamento, l’autrice ha contribuito a introdurre nella scuola la teoria relazionale dello psicoterapeuta statunitense Carl Rogers. Capace di coniugare psicopedagogia e terapia con esiti di “funzionamento esistenziale” nel discente: massimo potenziamento delle doti e capacità personali, spiccata creatività, delineando i tratti di una nuova umanizzazione.
Dalla relazione d’aiuto alla relazione d’aiuto a crescere, sulla base della connaturata “tendenza attualizzante”, esteso alle varie fasi d’età, l’autrice si è dedicata alla promozione della persona, inverantesi nel tenore del linguaggio.
Attualmente conduce come docente di poesia, nella locale U.T.E., il laboratorio “Esperienze di Poesia”, dai cui allievi è nata la raccolta Germogli di Poesia, pubblicata nel 2016 a cura del Comune di Monfalcone.
Dal 1997 è membro della Rubiconia Accademia dei Filopatridi (Forlì-Cesena).

 

I libri di Bianca Maria Selva Antonutti

 

Bianca Maria Selva Antonutti
Se noi come vetro
Una raccolta di poesie che è il riassunto di una vita. L’autrice ha raccolto in questo volume il meglio della propria produzione dispiegatasi negli ultimi venti anni, e che già le aveva fruttato diversi premi letterari, soprattutto nella regione dove vive, il Friuli Venezia Giulia. L’ultima parte del volume, sotto il titolo di “In itinere”, raccoglie le liriche del dolore, scritte dopo la scomparsa del marito.
pp.80,  euro 10,33, isbn 978-88-97097-12-2

 

 

 

 

 

Bianca Maria Selva Antonutti
Il giardino della memoria
Un testo che mette in luce come la fanciullezza, la propria e quella di alunni e figli, possa costituire un’oasi nella vita adulta, un’esperienza che possiamo compiere «come se uscissimo dalla nostra casa per passeggiare appunto in uno spazio verde popolato di fiori, di colori, di profumi, per ritrovarvi un senso di freschezza e di serenità…» fino al sovrapporsi del nostro antecedente vissuto al loro condiviso, fondendoli in unità. Presentazione di Guido Petter.
pp. 100, euro 12, isbn 978-88-87097-62-7

 

 

 

 

 

Bianca Maria Selva Antonutti
Il violino segreto
Una raccolta poetica che presenta una grande varietà di argomenti, stili e complessità, e che tuttavia si armonizza grazie a una originale scansione tematica interna, accompagnata da pregevoli riproduzioni artistiche, e che rappresenta una sorta di riflessione sul cammino poetico dell’autrice e sulla funzione ed essenza della poesia, «segreta musica» della vita. Presentazione di Gabriella Burba. Pp. 116, euro 12, isbn 978-88-87097-94-8

 

 

 

 

Note sul trittico

Si conclude con quest’opera Il violino segreto il trittico delle pubblicazioni di poesia e narrativa avviato nel duemila dalla sigla editoriale Il Piccolo Torchio di Novara. Al di là dei due primi testi tematici (l’alterità da cogliere in “trasparenza” in Se noi come vetro, il tratteggio “per quadri” dell’età evolutiva nel Giardino della memoria), quest’ultimo lavoro è variegata raccolta di esperienze personali molteplici e, come i precedenti, mosso dalla tensione a riconoscersi fondendosi col tutto, moltiplicando le occasioni del confronto. Così il presente testo rimanda ad essi, di cui risulta contesto di base e complemento.
La coscienza, che vi si declina variamente, viene scoprendo con vicissitudine la realtà ed è il fulcro delle tre opere.
La molteplicità dei temi presenti si compone in unità nell’esperto scandaglio di Gabriella Burba che segue l’autrice fin dagli esordi.
Il primo testo, in poesia, è incentrato sul tema dell’alterità, osservato da diversi punti di vista nelle cinque sezioni.
Essa, modalità costitutiva della persona, è fonte di disagio quando offuscata (rapporti ridotti a puro formalismo, inautentici), di appagamento in reciprocità quando integra (capace di attuare, non senza stupore degli esiti, promozione in crescita), di suprema gioia: Alterità come un canto (nell’atto di riconoscere ed esser riconosciuti, nelle vicende del mondo e negli incontri della vita). Appare fragile, comportando delicatezza e vitalità nell’atteggiarsi a progetti di estrema cura, come verso i fanciulli, detti «creature nuove e sagge»; (con essi l’autrice vive un «del tutto personale» rapporto unificante, «a prolungamento di»… si vedano i testi Creature e Io nel sogno).
Infine, In itinere: il passaggio si pone a testimonianza di un percorso «dal buio alla luce», nella elaborazione della perdita.
L’opera di narrativa poetica Il giardino della memoria è un lungo racconto di formazione.
Ritrae il divenire dalla seconda infanzia all’adolescenza e infine alla maturità, attraverso una figura di bambina «che conquista poco per volta, nel suo rapporto con gli oggetti e con gli altri, consapevolezza e autonomia e diventa soggetto partecipante» (Claudio Desinan). Afferma Rogers che «ciò che è più personale è anche più universale», così, sul filo della memoria, l’autrice riesce a cogliere con «fedeltà» (Claudio Desinan) i vissuti, che si presentano qui come vissuto di tutti, venendo a confluire: la personale esperienza, la fanciullezza sperimentata professionalmente e le modalità di sviluppo evinte dalla psicologia dell’età evolutiva. Gabriella Burba vi rinviene tanti rivoli di significati imprendibili tutti assieme, e ciò offre all’autrice il destro a convalidare come nel piccolo affresco si abbia il riflettersi dell’oceanica vita.
Alcuni aspetti stilistico-estetici delle due opere.
Riguardo alla prima, in poesia, il critico-editore Roberto Cicala così introduce la prefazione: «Queste pagine formano in verità una parabola ideale, quasi una scoperta dell’“altro da sé” attraverso diverse esperienze di vita, ognuna delle quali messa in evidenza dall’uso simbolico della luce», così nell’esordio dedicato alla rosa abbiamo: «coglila presto la rosa / che affiora dal buio, prima che sfochi»; con un’ambientazione chiaroscurale: «l’ora che i vetri accende / e l’azzurro dispare in un lago scuro. Notte».
In tal modo, attraverso le numerose variazioni di luce, con l’uso di un linguaggio cui si allude come affidato ad «angeli dalla spada fiammeggiante» (Gabriella Burba), non si può non notare come venga raggiunta l’icasticità (ad es. «Nel nero schermo della meditazione notturna / si iscrive chiara la necessità del cambiamento»).
In una forma densa, permeata di pensiero, Gabriella Burba nota come l’autrice riesca a recuperare «la luce nel buio», ad esprimere un «carpe diem» che «è un lampo d’eterno, non la resa alla chiusura di un istante»; vi sono racchiusi la vita, il senso, l’amore.
Densità, nitore vi si porgono in una veste classica, nell’incastonatura inscindibile dei termini, in versi definiti da Rita Santuari (presidente di giuria, Livorno) «sapientemente strutturati». Vengono a formarsi metafore suggestive, piene d’immagini che, in accostamenti originali, rendono a sorpresa bellezze della natura colme di senso, specie psicopedagogico.
Sensi acuiti: visivi, auditivi, olfattivi. «Varietà metriche nella fluidità delle personali cadenze» (Silvio Cumpeta, letterato nel territorio), producentesi come musicalità interiore: «Come questa rosa sospesa / nella calma distesa della sera»; le allitterazioni, frutto di tensione comunicativa del “profondo”, si affinano: «non, radiosa, la luce», (la pronuncia sorda della esse si sovrappone alla “c” di luce, con esito del “disfarsi” della parola in luce).
Viene a crearsi un orizzonte rarefatto in cui campeggia la luce (purezza, bene, verità… intensamente), e in campo s’incidono terse parole: «trar fuori il vissuto da un’acqua limpida e chiara».
Quanto a considerazioni relative alla seconda opera, di narrativa, ci si riconduce alla specifica autorità di Guido Petter che ne ha curato la presentazione.
Così egli afferma: «Il libro costituisce una testimonianza viva di quanto la psicologia dice a proposito dei ricordi», che vi sono espressi con «un linguaggio lieve, essenziale, poetico, e pertanto particolarmente adatto a trasmettere quel carattere “impressionistico” che hanno molti ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, che sembrano librarsi tra la realtà e il sogno».
«Lo studio della psicologia evolutiva e l’attività d’insegnamento», continua Petter, hanno certamente “raffinato” nell’autrice «la capacità di rivivere, con gli occhi della bambina che essa è stata, ma anche con quelli della persona adulta», conoscitrice dell’animo dei bambini, «i momenti significativi della sua infanzia e della sua fanciullezza, e di renderli nella narrazione conservandone l’incanto».
Rita Santuari ha rilevato come la scrittrice abbia compiuto un’operazione di memoria preziosa per far partecipi gli altri e tramandare il ricordo di personali vissuti, collegati alle radici storiche della “nostra” epoca, e lo abbia fatto con «un’attenzione studiata e mirata, tanto da far percepire al lettore persino i profumi di questo suo Giardino, dove i sentimenti, l’amore, le gioie e i dolori e il passaggio da un’età all’altra cambiano di intensità, ma non di importanza. Le storie si srotolano con descrizioni colorate di un linguaggio poetico tale da inserire il libro nella “narrativa poetica”».
Per quanto, infine, riferibile alle “Motivazioni ufficiali” relative ai premi letterari citati, si possono desumere le seguenti sottolineature:
Si tratta di «Una poesia di carattere psicologico, fatta di sfumature, di leggere movenze, di grande liricità; c’è in essa qualcosa di nuovo, un’aria nuova di poesia».
Si noti «La sintesi lirica, la tensione emotiva, la suggestione delle immagini».
«Una poesia dell’alterità, l’autrice è piena di calore umano verso tutte le creature che la circondano».
«L’autrice ha raggiunto la maturità artistica per l’intensità e la pregnanza dei contenuti, la modernità dei temi e dello stile».
Trieste, 1980, 1981, 1982.

(Bianca Maria Selva Antonutti)